Primi giorni di scuola, primi pensieri che corrono.
Dal 1987 al 1996: il mio decennio tra medie e superiori.
Il cellulare? Praticamente inesistente. I veri temi erano altri: le fughe strategiche dalle lezioni, le corse verso la sala giochi in centro, dove i videogiochi avevano ancora il fascino del pixel e del gettone.
I bar erano luoghi di ritrovo. Niente stanze oscure con luci intermittenti e gente incollata alle slot, a inseguire una vincita che non arriva mai. C’era più chiasso, più chiacchiere, più vita.

I diari li sceglievi tu, innamorandoti di quello che ti colpiva di più tra una marea di marche, illustrazioni, copertine lucide e frasi scritte in corsivo. Non come quelli di oggi, imposti dalla scuola e simili a contratti stilati da un avvocato.
Ne so qualcosa: ogni anno ne devo firmare almeno tre, pieni di clausole e permessi assurdi. Dal famigerato “patto di corresponsabilità” al consenso per la foto di classe, passando per autorizzazioni che nemmeno per un mutuo.
La scuola, con tutte le sue imperfezioni, era l’ultimo passaggio tra ciò che noi adolescenti potevamo sognare e ciò che il mondo del lavoro ci avrebbe poi restituito con i piedi ben piantati per terra.
Oggi, ascoltando la radio, si diceva: magari i giovani, privati per un attimo del cellulare, scoprirebbero che quello che doveva essere il mezzo per definire la propria libertà — lo smartphone — è in realtà il modo in cui quella libertà si spegne.
Vero. Ma vero in parte.
I ragazzi di oggi dovrebbero tornare ad avere quella libertà che avevamo noi, quella che partiva dal diario — un oggetto tuo, personale — dove potevi dividere pensieri, paure e compiti da fare. Imparavi a ricordare annotando, non ricevendo notifiche.
Dovrebbero riscoprire anche il gusto di studiare la propria fuga da scuola, perché spesso era un modo per ingegnarsi, per capire come muoversi nel mondo.
Adesso, con il registro elettronico, tutto questo è sparito. Come è sparito il metodo di annotare i compiti sul diario. Tanto c’è l’app di Nuvola che tiene traccia di tutto. A che serve scrivere?
La libertà non è solo dettata da un cellulare — che penso sia giusto tenere spento — ma è anche poter scegliere quelle piccole cose che sembrano insignificanti, e che per un adolescente, col tempo, diventano ricordi da tramandare.
So che non si può vivere di ricordi.
So benissimo che il mondo delle sale giochi e dei bar pieni di cassoni videogioco non esiste praticamente più.
So che non ci si può legare al passato.
Ma so anche che, pur facendo un bel passo avanti, mettere un divieto ai cellulari — anche se molti ne portano due — non basta.
Servono altre cose.
Servono esperienze che rendano i ragazzi più autonomi.
Più liberi davvero.


